Titolo: Mai come in questo caso, si tratta di una battaglia da prendere proprio di -petto’.
Data: 04/03/2015 Fonte: Antonella Margarito - Il Nuovo Quotidiano
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Mai come in questo caso, si tratta di una battaglia da prendere proprio di ‘petto’.

News: Mai come in questo caso, si tratta di una battaglia da prendere proprio di ‘petto’. E non per essere dissacranti o irriverenti, rispettosi invece come si è del famoso detto ‘scherza coi fanti ma lasciare stare i santi’ , soltanto che i gallipolini, non da ieri e nemmeno da anni, insomma diciamo da secoli, a far tornare la ‘mammella’ di Sant’Agata a Gallipoli ci provano e ci riprovano, ma senza alcun risultato. Addirittura fu richiesta la ‘raccomandazione’ del segretario del partito fascista Achille Starace, più recentemente si è sollecitato anche l’intervento del Papa, ma niente da fare; la reliquia rimane a Galatina. E ora però al passo con i tempi, l’appello corre sul social network di face book , un tam tam che si spera possa arrivare al momento giusto e nel posto giusto a botta di condivisioni. Il momento giusto sì, che praticamente è già qui, dal momento che proprio domani 5 febbraio ricorre la festività di Sant’Agata compatrona di Gallipoli, anzi no, per essere più precisi, patrona della diocesi, la cattedrale infatti è dedicata proprio alla santa di origine catanese.
“Sta per arrivare il 5 febbraio 2015 e la nostra Teca con la Mammella di Sant'Agata resta ancora chiusa nel Cenobio di Santa Caterina in Galatina –scrive sul suo profilo Fb Carmelo Scorrano, gallipolino doc conosciuto per le sue poesie in vernacolo - vane sono state le mie richieste di farla ritornare nella sua Cattedrale di Gallipoli. Gallipolini, condividete questa mia voce”. Il poeta gallipolino, lo scorso anno aveva scritto anche al Papa e per conoscenza aveva inviato la lettera anche al vescovo di Nardò-Gallipoli Fernando Filograna che esattamente il 10 febbraio 2014 così rispondeva “carissimo signor Scorrano, ho ricevuto la lettera con la quale chiedi al Papa di interessarsi per il ritorno della reliquia della mammella di Sant’Agata a Gallipoli. Ti assicuro che sarà una mia preoccupazione far di tutto per farla tornare”. Ma così non è stato. Passa un anno e in concomitanza con la ricorrenza ritorna il problema che ora si celebra anche su face book. E’ un ritornello che puntualmente ritorna in prossimità della festa di sant’Agata – dice Don Gigi De Rosa – rettore del Santuario della Madonna del Canneto – Il fatto che la reliquia sia stata portata a Galatina , è vissuta dal popolo gallipolino come un vero e proprio sopruso e così che ciclicamente si ripetono i tentativi di riportarla in città. Tentativi finora andati a vuoto”. Per i Gallipolini infatti la volontà della santa, tra storia e leggenda, sarebbe stata proprio quella di rimanere a Gallipoli. . Si racconta infatti che l’otto agosto del 1126 Sant'Agata apparve in sogno a una donna che si era addormentata dopo aver lavato i panni nella spiaggia della Purità a Gallipoli e disse alla donna che il suo bambino stringeva qualcosa tra le labbra: era la mammella della Santa. La donna si svegliò e si accorse che il suo bambino davvero aveva qualcosa tra le labbra ma non riuscì a convincerlo ad aprire la bocca. Tentò a lungo: poi, in preda alla disperazione, si rivolse al vescovo, che giunto sulla spiaggia cominciò a recitare la litania dei santi e soltanto quando pronunciò il nome di Agata il bimbo aprì la bocca. Da essa venne fuori una mammella, evidentemente quella di sant'Agata. Ma come ci era finita a Gallipoli? Le reliquie della santa erano state trafugate a Costantinopoli nel 1040 dal generale bizantino Giorgio Maniace. Nel 1126 due soldati dell’esercito bizantino, di nome Gilberto e Goselmo, quest’ultimo di origine salentina, le trafugarono per consegnarle al vescovo di Catania Maurizio che viveva nel Castello di Aci, oggi Aci Castello. I due insieme ad altri uomini con una barca dal nome ” Gallipoli ” rientrando sullo Ionio che bagna sia Gallipoli che Catania, si fermarono per fare l’ultimo rifornimento di cibo ed acqua nel porto di Gallipoli, prima di affrontare l’ultimo tratto di mare. Ripartendo lasciarono a loro insaputa la mammella e quando se ne accorsero cercarono di tornare a riprenderla ma non ci riuscirono a causa di una violenta burrasca. Da qui l’idea che la santa volesse rimanere a Gallipoli. A Gallipoli la Cattedrale che inizialmente era dedicata a San Giovanni Crisostomo, viene dedicata alla Santa. Ma come arriva poi a Galatina? I fatti risalgono al periodo dell’Unità d’Italia quando la Cassa Ecclesiastica di Napoli, con un verbale datato 8 luglio 1862, inserisce la reliquia tra i beni mobili e arredi sacri del soppresso convento dei Padri Riformati che furono devoluti in concessione al Comune di Galatina. La reliquia passo dunque a dei privati per la custodia. Da qui la richiesta del comune di Gallipoli che voleva che la mammella della santa venisse riconsegnata alla cittadina ionica. “Ne sorse una lite”, racconta lo storico Elio Pindinelli in un suo scritto, “ nella quale si inserì anche l’arcivescovo di Catania”. Poi con l’avvento del fascismo, furono in molti a sperare che a fare il ‘miracolo’ sarebbe stato l’onorevole Starace che pure era stato interessato del fatto. Ma il colpo di mano avviene il 4 febbraio del 1926, quando il sindaco Sebastiano Starace, fratello del segretario del Fascio Achille, riesce ad ottenere che la reliquia arrivi a Gallipoli solo per il tempo della celebrazione. “Ed è qui che avviene il colpo di scena”, scrive Pindinelli, “Giunta a Gallipoli la reliquia viene di fatto sequestrata senza alcuna intenzione di restituzione, mentre i Galatinesi parlano di vera e propria rapina”. La reliquia torna poi a Galatina proprio per intercessione dello stesso Achille Starace che “non poteva permettersi un ulteriore perturbamento dell’ordine pubblico a Gallipoli né tanto meno a Galatina laddove i cittadini si erano rivolti al prefetto per chiedere giustizia. Oggi la reliquia è ancora conservata nella Basilica di Santa Caterina mentre a Gallipoli viene conservato il piede del reliquiario d’argento. Una ben magra soddisfazione.



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